Recensioni
“Conversazioni a Siviglia”. Per Consolo letteratura militante e lingua poetica.
Vincenzo Consolo fu, in ogni occasione, tenace assertore della funzione civile della letteratura. Faceva sua, così, la tesi sartriana che la letteratura doveva essere “engagée”, impegnata, e doveva «esprimersi attraverso uno strumento linguistico di assoluta comunicazione». Ma Consolo avvertiva anche «il bisogno di praticare quella che Roland Barthes chiama la “scrittura di intervento”, non solo scrivendo dei romanzi e quindi rappresentando questa nostra realtà in modo metaforico, ma intervenendo sui giornali su vicende contingenti. Quella idea di letteratura, e molte altre riflessioni su che cos’è la Sicilia, sulla felice contaminazione culturale che le diverse civiltà vi hanno attuato, sui suoi libri e sul registro stilistico e linguistico che, caso per caso, li connota, il “lettore paziente” di Consolo troverà nel recente libro, piccolo ma prezioso, “Conversazione a Siviglia”, edito dalla casa editrice di Caltagirone LetteredaQalat. È una silloge di interventi e conferenze che Consolo tennenel2004nella città spagnola, dove era stato invitato dall’Istituto di Italianistica della facoltà di Lettere di quella università in occasione dei suoi settant’anni, nel2003. Ma l’incontro slittò all’anno successivo, sicché le giornate consoliane dovettero intitolarsi “70+1”. Quelle “conversazioni” vedono ora la luce in italiano a cura di Miguel Ángel Cuevas, curatore anche dell’edizione spagnola del 2014. Per l’autore di quel classico che è “Il sorriso dell’ignoto marinaio”, la memoria è il fondamento della letteratura, perché «la vera letteratura è verticale, scrive su altre letterature, è palinsestica. Scriviamo su altre scritture, e guai se non ci fossero queste matrici che ci accompagnano, viviamo appunto perché abbiamo un retaggio memoriale». Il costante e necessario richiamo al passato non può però distrarre lo scrittore dall’urgenza del tempo presente, a meno di voler tradire la sua missione: essere testimone del proprio tempo. Ma, perché lo sia davvero, lo scrittore «deve essere libero, altrimenti diventa complice degli orrori del mondo, degli orrori della storia…Sciascia era uno scrittore libero…Gli scrittori nonliberi sono i cortigiani». Con quali strumenti espressivi quell’impegno civile-politico debba vivere sulla pagina è, nella letteratura, tema capitale, che ha affaticato sempre gli scrittori, e che, in tempi più vicini a noi, ha avuto il suo principale e tormentato modello in Alessandro Manzoni. Da lì discende il «binomio fra impegno civile della scrittura e strumento linguistico assolutamente razionale, comunicativo, illuministico che dir si voglia». Che giunge fino agli scrittori come Moravia, Vittorini, Calvino, Sciascia. Nella situazione storica e politica del suo tempo, Consolo avvertiva però l’inefficacia di quel linguaggio, da cui non era nata «in Italia una società civile con la quale comunicare». Perciò si orientò verso «una scrittura espressiva, non più comunicativa, cercando di riportare alla luce la memoria linguistica della mia terra, dove c’è un giacimento linguistico straordinario», che va dal greco al latino, dall’arabo allo spagnolo (per non parlare delle “isole linguistiche lombarde”, sparse in sette comunità vicine al paese d’origine di Consolo). Nella seconda parte di questo pregevole libretto, Consolo illustra, rapido ma puntuale, alcune delle sue opere, ribadendo la sua convinzione «che non si potevano più scrivere romanzi nella nostra epoca perché il romanzo diventava immediatamente di consumo… romanzo alla Camilleri, per intenderci. Ecco, bisognava avvicinarsi alla forma poetica, quella che Walter Benjamin chiama narrazione, uno spostamento del romanzo verso la narrazione, ch’era la forma orale, antica, da cui sono nati i poemi».
Paolo Fai
23 Ottobre 2016 La Sicilia
La Sicilia di Consolo, metafora del Paese
Vincenzo Consolo è forse l’ultimo dei grandi autori siciliani. Nei suoi romanzi mito e storia, vedremo come, vanno alla ricerca di un connubio solo a tratti producente. Muore nel 2012 abbandonando la Sicilia alla perseguitante “dittatura” degli scrittori acchiappaturisti. La caltagironese “Lettere da Qalat” ha da poco pubblicato Conversazione a Siviglia , un volumetto (a cura di Miguel Ángel Cuevas, 80 pagine, 9 euro) che introduce alla lettura delle opere dell’autore del Sorriso dell’ignoto marinaio . Contiene due trascrizioni: quella degli interventi dello stesso Consolo alle giornate di studio in suo onore organizzate nel 2004 e quella di un’intervista andata in onda, nello stesso periodo, alla tivù andalusa. Coscienti del basso numero degli “specialisti”, consigliamo il libro a chi fosse alla ricerca di una sintesi delle tematiche affrontate dal messinese. C’è per esempio, all’interno del volume, una singolare (ma utile) distinzione. Ed è quella tra Sicilia occidentale e Sicilia orientale. La seconda delle due è la Sicilia della “natura” – conquistata dal mito – l’altra è quella “narrabile” cioè quella della “storia”. “Storia” che non cattura una società mai schiusa al “nuovo”. Consolo oppone una Sicilia da ragazzi, del mito – dell’Arcadia, dello “spettacolo” – una Sicilia che non c’è, a una “drammatica”, da età della ragione, caratterizzata dal latifondo e dallo sfruttamento dei miseri. Una Sicilia greca (ma a quei tempi ogni iniziativa pubblica gravava su centinaia di sottomessi), mitizzata da personaggi come il barone von Gloeden e di “produzione” goethiana, contro una Sicilia “storica” che di storie però ne fabbrica ben poche. Certo a ripassare qui e lì non è che le idee di Consolo – che resta naturalmente un autore come pochi, un maestro (com’egli stesso dice) non della scrittura comunicativa ma di quella espressiva, fatta di unioni con segni e stili del passato appaiano così diverse da quelle di qualunque altro siciliano. Illuminista a suo modo, per lui la storia della Sicilia “è metafora della storia dell’Italia”, a sua volta “storia di questo nostro Occidente”. Temi quasi fissi sono quelli delle settimane sante e delle “isole linguistiche” dove si parlano lingue pressoché morte. La letteratura poi è “memoria”, cioè identità; sommo dispiacere infine per il crollo della civiltà contadina “dominata” da un tipo d’uomo anche lui praticamente scomparso. Un uomo che era pur sempre il centro del mondo. Oggi il “nucleo” aduna solo merci e consumi.
Marco Iacona
Il Giornale d’Italia 9 Aprile 2017